LA NUOVA DIRETTIVA COMUNITARIA SULLA CONCORRENZA SLEALE
E’ stata di recente emanata la nuova direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio in materia di pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori. La direttiva, che porta il numero 2005/29/CE, prende le mosse dall’ esigenza di dare omogeneità di normativa ad un settore che è caratterizzato da differenze notevoli tra i vari Stati membri,
differenze che possono tradursi in distorsioni della concorrenza con conseguenti ostacoli al buon funzionamento del mercato interno. Nei suoi considerando, la direttiva costata che, in particolare a proposito della pubblicità ingannevole e comparativa, poiché la direttiva n. 84/450/CEE sull’ argomento fissa criteri minimi di armonizzazione, ma lascia agli Stati membri la possibilità di adottare disposizioni che garantiscano una più ampia tutela dei consumatori, le disposizioni dei vari Stati sono profondamente diverse. Questo si ripercuote sulla certezza di quali siano le norme nazionali da applicare alle pratiche commerciali sleali lesive degli interessi dei consumatori e delle imprese, ma, soprattutto (e questo è interessante per il comparto) rende più oneroso il mercato interno, dove le imprese vogliano fare attività di marketing, campagne pubblicitarie e promozioni delle vendite transfrontaliere.
Tra le norme che la direttiva si prefigge di ravvicinare vengono espressamente indicate le legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, tra le quali la pubblicità sleale.
La direttiva (nel considerando n. 7), indica come proprio argomento quello riguardante “le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti”, escludendo, pertanto, dal proprio ambito applicativo, ad esempio, le pubblicazioni promozionali delle aziende o i requisiti inerenti il buon gusto e la decenza (per noi il richiamo può essere agli articoli 8, 9 e 10 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria). Gli Stati membri, pertanto, potranno continuare ad avere una normativa all’ interno del loro territorio, che vieti le pratiche commerciali per ragioni di buon gusto, di decenza o per ragioni culturali, anche se tali pratiche non limitino di fatto la possibilità di scelta dei consumatori.
La direttiva introduce un unico divieto generale: quello che riguarda le pratiche commerciali sleali che siano lesive degli interessi economici dei consumatori, che falsino il loro comportamento economico e stabilisce che nella definizione di “pratiche commerciali ingannevoli” rientrino tutte quelle pratiche, tra cui la pubblicità ingannevole, che, inducendo in errore il consumatore, gli impediscano di scegliere in maniera consapevole.
L’ art. 2 della normativa comunitaria in esame, nel fornire la definizione di “pratiche commerciali tra imprese e consumatori”, segnala come tale “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresi pubblicità e marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”. Come si può vedere, pertanto, si esaminano argomenti a noi molto vicini.
La direttiva suddivide le pratiche commerciali sleali, che vieta, in due categorie: quella delle pratiche ingannevoli e quella delle pratiche aggressive. A loro volta le pratiche commerciali ingannevoli vengono distinte in azioni ingannevoli ed in omissioni ingannevoli.
Così è azione ingannevole, ad esempio, l’ informazione falsa sulle caratteristiche principali del prodotto (disponibilità, vantaggi, accessori, assistenza, metodo di fabbricazione, origine, ecc.) o sul suo prezzo. E’ anche considerata ingannevole la pratica commerciale che induca il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti intrapreso e che comporti una qualsiasi attività di marketing del prodotto, compresa la pubblicità comparativa, che generi confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e gli altri segni distintivi di un concorrente (art. 6, comma 2, lettera a) della direttiva).
A proposito delle omissioni, è considerata ingannevole una pratica commerciale che ometta informazioni rilevanti, tenuto conto sia delle circostanze del caso, sia dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, che imponga restrizioni in termini di spazio e di tempo. Nel caso di invito all’ acquisto, sono considerate rilevanti le informazioni relative alle caratteristiche principali
del prodotto, al prezzo, alle modalità di pagamento, consegna, esecuzione, trattamento di reclami, all’ esistenza di un diritto di recesso (art. 7, comma 4).
L’ allegato II della direttiva fornisce un elenco, anche se definito non completo, degli obblighi di informazione previsti dal diritto comunitario connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o il marketing. Si tratta, tra le altre, delle direttive in materia di contratti a distanza, di viaggi, di prezzi di prodotti offerti ai consumatori, di medicinali per uso umano, di commercio elettronico, di credito al consumo, di intermediazione assicurativa, ecc.
La Sezione 2 della direttiva si occupa di pratiche commerciali aggressive, tra le quali viene individuato anche l’ indebito condizionamento del consumatore per indurlo all’ acquisto del prodotto (art. 8). Per capire se vi siano i presupposti dell’ indebito condizionamento del consumatore o se vi sia ricorso a molestie nei confronti dello stesso o a coercizione bisognerà prendere in considerazione i tempi, i luoghi, la natura, la persistenza della pratica commerciale; il ricorso alla minaccia, sia essa fisica o verbale; lo sfruttamento di circostanze tragiche o gravi; l’ interposizione di ingiustificati ostacoli all’ esercizio dei diritti contrattuali del consumatore; la minaccia di intraprendere azioni legali, quando esse non siano ammesse.
E’ interessante il riferimento che la nuova direttiva fa ai codici di condotta (art. 10) ed alla possibilità di controllo delle pratiche sleali da parte dei responsabili di tali codici. Questi aspetti sono visti con particolare favore dal legislatore comunitario, che suggerisce altresì la possibilità di incoraggiamento di tali strumenti da parte degli Stati membri dell’ Unione Europea.
Il pensiero, a tale proposito, va al nostro Codice di Autodisciplina Pubblicitaria ed all’ Istituto di Autodisciplina.
Ai fini di combattere le pratiche commerciali e sleali, la direttiva individua come strumenti il ricorso all’ azione giudiziaria e/o all’ autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi o a promuovere un’ adeguata azione giudiziaria (nel caso dell’ Italia potrebbe trattarsi della stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), ma è altresì prevista la possibilità di ricorrere, in via preliminare, ad altri mezzi, tra i quali quelli previsti dai codici di condotta e i loro rispettivi responsabili.
Alcune modifiche vengono espressamente apportate dalla nuova direttiva alla direttiva n. 84/450/CEE in tema di pubblicità ingannevole, che si riverbereranno sicuramente sul nostro D.Lgs. n. 74/92 in materia.
Mentre la precedente versione della direttiva sulla pubblicità ingannevole annoverava tra i suoi scopi quello di tutelare “il consumatore e le persone che esercitano un’ attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, nonché gli interessi del pubblico in generale, dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali e di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa”, il nuovo testo indica come destinatari della tutela, anziché l’ ampia categoria di soggetti precedentemente enunciata, più genericamente, ma anche in maniera maggiormente onnicomprensiva, i “professionisti”, che vengono definiti (con un’ opportuna integrazione delle definizioni a suo tempo formulate), come le persone fisiche o giuridiche, che agiscano nel quadro della propria attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome e per conto di un professionista.
Questo parrebbe portare a concludere che gli interessi del pubblico più in generale contro le pratiche sleali siano garantiti dalla nuova direttiva, mentre quella precedente in tema di pubblicità ingannevole e comparativa continuerà a tutelare chi svolga più propriamente un’ attività commerciale, industriale, artigianale o professionale.
Per quanto concerne la pubblicità comparativa, essa viene considerata ingannevole anche nel caso in cui si traduca in azioni od omissioni ingannevoli, così come definite dalla nuova direttiva 2005/29/CE.
La nuova direttiva, per entrare in vigore nei singoli Stati membri, che ne sono destinatari, dovrà essere recepita dagli stessi entro il 12 giugno 2007.
Fin tanto che non venga recepita, la materia della concorrenza sleale continuerà, in Italia, ad essere regolata dall’ art. 2598 del codice civile, che individua, tre categorie di atti di concorrenza sleale:
quelli compiuti da chi utilizzi nome e segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi ed i segni distintivi altrui o imiti servilmente i prodotti di un concorrente o commetta comunque atti tali da creare confusione con i prodotti e con l’ attività del concorrente; quelli commessi da chi diffonda notizie e apprezzamenti sull’ attività e sui prodotti altrui, che possano cagionare il discredito o si appropri dei pregi dell’ impresa di un concorrente o dei suoi prodotti; quelli compiuti da chi si valga di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale idoneo a danneggiare l’ altrui azienda.
In ciascuna delle tre categorie individuate dal legislatore del codice civile si possono inserire aspetti della comunicazione pubblicitaria.
Nel primo gruppo può rientrare, ad esempio, qualche caso di imitazione pubblicitaria, che abbia lo scopo di creare confusione con i prodotti del concorrente. Nella seconda casistica si può ricordare sia la pubblicità comparativa denigratoria sia la pubblicità cosiddetta “per agganciamento”, nella quale è prepotente il richiamo al prodotto altrui, al fine di sfruttarne la notorietà. Nell’ ultima categoria, che ha carattere residuale, possono rientrare tutte le forme di pubblicità che non siano comprese nelle precedenti. La Corte di Cassazione, in una sua storica sentenza, ha avuto modo di evidenziare che il mancato rispetto dei principi del Codice di Autodisciplina configura un’ ipotesi di contrasto ai principi della correttezza professionale.
BOX NORMATIVO:
- – Direttiva 2005/29/CE (pubblicata su GUCE L 149 dell’ 11/6/2005) sulle pratiche commerciali sleali;
- – Direttiva 85/450/CEE sulla pubblicità ingannevole e comparativa;
- – D.Lgs. n. 74/1992 sulla pubblicità ingannevole e comparativa;
- – Art. 2598 cod. civ., Atti di concorrenza sleale
- – Codice dell’ Autodisciplina Pubblicitaria